giovedì 23 ottobre 2008

Studenti cattivoni

Perchè quando andava di moda il bullismo tutte le tv catalizzavano l'attenzione sulle scuole e tutti analizzavano l'analizzabile, invece ora che l'attuale governo di centrodestra sta distruggendo la scuola pubblica i media parlano solo di occupazioni, scontri, manifestazioni, e nessuno si domanda perchè diamine gli studenti stanno facendo tutto questo casino?

La verità (e non vi è novità) è che la televisione è nelle mani di una sola persona: Berlusconi.

VENDUTI!

mercoledì 22 ottobre 2008

Facciamo sopravvivere l'unico quotidiano di valore d'Italia

Non è un giornale di partito come Liberazione, non è del PD come l'Unità (se l'avesse saputo Gramsci..), non è un malloppo pieno di pubblicità come Repubblica, non è ambiguo come il Corriere della Sera, non è patetico come il Giornale, non è imbarazzante come Libero...
Vi propongo questo appello de "il Manifesto", affinchè riesca a sopravvivere anche all'ultima liberticida azione del governo Berlusconi.
L'informazione e la cultura non hanno prezzo...

Fateci uscire
Una nuova emergenza bussa alle nostre porte. Ha qualcosa di simile alle tante dei nostri 37 anni di vita, perché sempre di bilanci in rosso si tratta. Ma è molto diversa da tutte le altre che l’hanno preceduta, perché stavolta non si tratta di raccogliere qualche soldo per sopravvivere ma di trovare le risorse per una battaglia di libertà che non riguarda solo noi.
Quello che ci assumiamo e a cui vi chiediamo di partecipare è un compito tutto politico. I tagli ai finanziamenti per l’editoria cooperativa e politica non sono misurabili «solo» in euro, in bilanci che precipitano nel rosso, in giornalisti e poligrafici che rischiano la disoccupazione. Sono lo specchio fedele di una «cultura» politica che, dall’alto di un oligopolio informativo, trasforma i diritti in concessioni, i cittadini in sudditi. Non sarà più lo stato (con le sue leggi) a sostenere giornali, radio, tv che non hanno un padrone né scopi di lucro. Sarà il governo (con i suoi regolamenti) a elargire qualcosa, se qualcosa ci sarà al fondo del bilancio annuale. Il meccanismo «tecnico» di questa controrivoluzione lo abbiamo spiegato tante volte in queste settimane (e continueremo a ricordarlo), ma il senso politico-culturale dell’operazione è una sorta di pulizia etnica dell’informazione, il considerare la comunicazione giornalistica una merce come tante altre. Ed è la filosofia che ha colpito in questi ultimi anni tanti altri beni comuni, dal lavoro all’acqua.
Noi ci batteremo con tutte le nostre forze e pubblicamente contro questa stretta: porteremo questo obiettivo in tutte le manifestazioni dell’autunno appena iniziato, stringeremo la cinghia come abbiamo imparato a fare in 37 anni di vita difficile ma libera, incalzeremo la politica e le istituzioni perché ne va della democrazia, spenderemo l’unico nostro patrimonio, cioè il nostro lavoro, per fornire il supporto giornalistico a questa battaglia di civiltà. E ci apriremo all’esterno ancor di più di quanto abbiamo fatto fino a oggi per raccogliere forze e saperi nuovi e capire come essere più utili a chi si oppone ai poteri che ci vogliono morti.
Faremo tutto questo, come sempre e più di sempre. Ma oggi siamo di nuovo qui a chiedere aiuto ai nostri lettori e a tutti coloro che considerano un bene essenziale il pluralismo e la libertà d’informazione. A chiedervi di sostituire ciò che questo governo ci nega con uno sforzo collettivo. In un panorama politico e culturale disastrato, di fronte alla lunga sconfitta che in un ventennio ha smantellato la stessa idea di «sinistra», non ci rassegneremo alla scomparsa. Perché, a differenza del protagonista di «Buio a mezzogiorno» di Arthur Koestler, non crediamo che «morire in silenzio» sia una lodevole testimonianza finale. Se questo governo e i poteri che rappresenta vogliono chiuderci, noi vogliamo riaprire. Con tutti voi, perché altrimenti è impossibile.

Per maggiori informazioni http://www.ilmanifesto.it/

venerdì 3 ottobre 2008

Una democrazia senza parlamento

da Europa - Titoli di giornali di ieri: “Berlusconi: imporrò i decreti” (la Repubblica). Più soft, una volta si diceva “più gesuitico”, il Corriere: “Berlusconi: farò più decreti”. Poiché non eravamo a Napoli, luogo del pronunciamento, non possiamo giurare su quale dei due verbi abbia usato il premier. Sta di fatto che, nel clima della legge Alfano, cui i costituzionalisti negano il titolo di “lodo” non essendo il ministro di giustizia un’autorità neutrale chiamata a mediare vertenze, un delirio di onnipotenza e di insofferenza per le istituzioni parlamentari e per la costituzione della repubblica sta dilagando nella destra. Mercoledì ne abbiamo avuto tre manifestazioni simultanee: quella appena ricordata del premier a Napoli, l’annuncio di Tremonti che l’indomani sarebbe andato in parlamento a riferire solo sulla legge finanziaria e non sulla crisi mondiale, come chiedevano i deputati; la teoria di Elio Vito, ministro dei rapporti col parlamento, illustrata nel question-time, che la decretazione è un modo di adeguare il processo legislativo al nuovo secolo, che mal sopporta tempi e modi della legiferazione parlamentare. Ma dove hanno letto, costoro, che la nostra democrazia non è più quella codificata nella costituzione e che il governo può strafottersene delle regole scritte e dei rappresentanti del popolo? Il 4 luglio, Europa pubblicò l’appello di 110 docenti dell’Associazione costituzionalisti, presieduta da Alessandro Pace, al capo dello stato, al governo, alle camere, e naturalmente al “popolo sovrano” che la nostra costituzione, non mutata, riconosce appunto unico sovrano e tuttavia nega anche ad esso l’esercizio della sovranità fuori dei modi e dei limiti stabiliti dalla legge. A maggior ragione, fuori di quei limiti e modi non si possono porre i governanti, sulle cui spalle non c’è neanche la forfora della sovranità. Fare le leggi è dunque mestiere del parlamento. Il governo può fare decreti solo in caso di necessità e urgenza. Non ha necessità e urgenza la guerra ai graffiti che Berlusconi ha indicato da Napoli come uno dei prossimi oggetti del suo governare per decreti. Ma oltre ai requisiti di necessità e urgenza, i decreti debbono essere “puntuali e omogenei”, cioè riguardare una singola materia, come impone la legge 400 del 1988 sui poteri della presidenza del consiglio. Invece non lo sono più da quando i loro testi sono diventati vere e proprie lenzuolate, nelle quali ci sono non una ma dieci, quindici materie: una , forse, con caratteri di necessità e urgenza, le altre come Dio vuole. Prassi fraudolenta, il capo dello stato talvolta obbietta, altre volte concede l’autorizzazione, che il cavaliere nella sua cultura brianzola chiama il “visto”. La frode si moltiplica quando la lenzuolata, autorizzata dal Quirinale per evitare la guerra perpetua col governo, viene inzeppata di emendamenti in parlamento e quindi diventa una cosa diversa da quella “vistata” cioè autorizata dal capo dello stato. E’ una vera e propria prassi di rapina nei confronti del presidente della repubblica e del parlamento. Il presidente della camera Fini ha formalmente protestato contro questa legiferazione per decreti. Dall’inizio del governo Berlusconi, deputati e senatori si sono limitari a convertire in leggi i decreti del governo. Per di più prendendosi lo sberleffo di Vito.
Il quale, per negare questa mortificante realtà, rinfacciava all’aula di Montecitorio che i parlamentari hanno votato anche la ratifica di non so quale trattato internazionale. Hai detto un prospero.Siamo grati a Fini della protesta, altrettanto ci aspettiamo da Schifani, che sovrintende all’altro ramo del parlamento. E ci aspettiamo anche che dicano la cosa essenziale: poiché Berlusconi lamenta l’inadeguatezza dei suoi poteri di premier e la farraginosità dei regolamenti parlamentari – le due cause della lentezza del processo legislativo – camera e senato, dove la maggioranza ha numeri sovrabbondanti, procedano subito ad adeguare la legge 400 sui poteri del presidente del consiglio e a snellire radicalmente i regolamenti parlamentari. Il governo potrà così governare con la velocità della Tav, come piacerebbe a Berlusconi e non solo a lui.
Di più, la legge 400 sui poteri della presidenza del consiglio potrebbe essere trasformata da legge ordinaria a norma costituzionale: aggiungendo così ai requisiti di necessità e urgenza, già scritti in costituzione, quelli di puntualità e omogeneità, scritti nella legge e snobbati dalle lenzuolate. Sarebbe la strada semplice e corretta per restare nella democrazia parlamentare. Che altrimenti, anche senza evocare Putin o Videla, vedrebbe giorno dopo giorno le sue istituzioni (e la libertà dei cittadini) ridursi come le anime dantesche, “ombre vane fuor che nell’aspetto”.


di Federico Orlando

http://www.articolo21.info/7451/notizia/una-democrazia-senza-parlamento.html